Home La nostra scuola PROGETTO FINESTRE: STORIE DI RIFUGIATI

PROGETTO FINESTRE: STORIE DI RIFUGIATI

Il Centro Astalli propone dal 2002 il Progetto Finestre rivolto alle scuole – Storie di rifugiati, per favorire la riflessione sul tema dell’esilio attraverso il contatto diretto e l’ascolto delle loro storie di vita.

Central African refugee girls living in Gaoui site, Chad, play and dance in a classroom. JRS and Entreculturas assist them with several education programs.

Esperienze condivise: due punti di vista della stessa storia

Destini oltre il mare

di Flavia M.

Il tempo passava ma le dune di sabbia sembravano sempre le stesse. Il caldo del giorno sembrava non cessare mai, appannava lo sguardo e asciugava i pensieri, il sudore gocciolava inumidendo i sedili di plastica ricoperti da stracci sporchi di morte. Poi arrivava il freddo della notte che ti congelava le dita delle mani e dei piedi. Il naso rosso schiacciato sul finestrino del furgone disperso nel nulla.                                           

Proprio di questo si occupa il centro Astalli che da 40 anni offre rifugio, protezione, servizi ma soprattutto diritti a tutti quegli uomini e a quelle donne che scappano da guerre, ingiustizie, violenze e da povertà, cercando rifugio in Italia. Tra loro nel 2013, un ragazzo di nome Njagga Njie, sbarcò in Italia cominciando una nuova vita.

Grazie ad un progetto che va avanti dal 2002, abbiamo avuto la possibilità di conoscere l’acerba verità della vita di gente come loro che, vivendo in un luogo crudele, è obbligata a scappare. Abbiamo conosciuto Njagga il 2 febbraio del 2022, durante un evento presentato da Francesca D’Uomo in cui il protagonista ha raccontato la sua storia.

È arrivato in Italia nel 2013, era ed è tuttora musulmano, ha studiato economia, sa parlare correttamente il francese, l’inglese altri “dialetti” del Gambia, il suo paese d’origine, ha imparato l’italiano venendo qui. Ha parlato del suo paese dove ha vissuto fino a 20 anni circa. La Repubblica del Gambia è uno Stato dell’ Africa Occidentale, il più piccolo del continente. Il Gambia è completamente circondato dal Senegal, ad eccezione del punto in cui il fiume Gambia  sfocia nell’ Oceano Atlantico. I suoi attuali confini sono stati definiti nel 1889, dopo un accordo tra il Regno Unito e la Francia. Nel 1965 il Gambio ha ottenuto l’indipendenza dall’impero britannico.

La povertà non significa avere pochi soldi, una piccola casa, ma è il non avere un posto dove dormire, non avere acqua potabile da bere, non avere niente da mangiare“. Queste le sue parole che hanno trafitto i nostri cuori.

In Gambia viveva con la madre e con la nonna (che non riuscirono a seguirlo), lavorava per la croce rossa e per un’associazione francese. Dopo l’assassinio del Presidente la situazione divenne ancora più pericolosa, così decise di partire pieno di speranze verso una nuova vita. Era solo uno studente di 22 anni. Quando arrivò al confine, i militari gli sequestrarono tutto ciò che aveva, valigie, cibo, telefono, acqua, soldi. “Meno male che mi hanno derubato e non mi hanno ucciso”, esclamò Njagga, ricordando quel momento.

Quella però non era la parte più difficile, era solo un ostacolo, la parte pericolosa arrivò dopo. Entrando nel deserto della Libia fu accompagnato dai trafficanti di uomini. Quello era l’unico modo per oltrepassare il deserto, nonostante questo, molte volte si restava imprigionati in quella gabbia di sabbia senza più cibo né acqua, senza telefono per chieder aiuto, lascati a morire nel caldo del giorno e nel vento gelido della notte.

In molti arrivano malati o senza gambe, donne incinte e bambini orfani. Sottolineò il fatto che non potevi avere paura in quel momento, dovevi andare avanti. Se non avevi una casa il Libia eri obbligato a lavorare gratuitamente.

<< Per arrivare in Italia impiegai tre mesi >> disse. Ci raccontò poi che una inizialmente trovò lavoro in un ristorante, perché gli piaceva cucinare e portare le tradizioni della sua terra nel nostro paese. Poco tempo prima del nostro incontro aveva fatto un colloquio per entrare a lavorare nell’azienda Decatlon, ed i risultati erano stati anche molto positivi.

Verso la fine dell’incontro la curiosità ci spinse a fare altre domande.

  • Durante il viaggio hai mai perso le speranze? Hai mai pensato di aver sbagliato a partire?

Solo una volta, quando eravamo in mare, nell’ultima parte del viaggio pensavo di non farcela, non c’erano isole all’orizzonte, non c’era niente, solo acqua, ma è proprio in quel momento che mi sono detto che ce l’avrei fatta, ero riuscito a passare ogni ostacolo, sarei riuscito a superare anche quello. Non non mi sono mai pentito di essere partito.

  • Sei ancora in contatto con i genitori?                                                                                  

Certo, mia madre è venuta qualche anno fa ed è potuta restare per un anno e poco più. Mi piacerebbe tornare in Gambia, ma in tal caso perderei la protezione di questo stato e non potrei più tornare. (tutto questo se prima non aspetto il tempo prestabilito, in tal caso se in Italia non ho commesso reati potrò tornare nella mia città per fare una visita, ma in ogni caso non per restarci per sempre)

  • Hai mai subito atti di bullismo?                                                             

Si, purtroppo, ma ricordati che i bulli sono solo ignoranti adesso e nel futuro, tu invece puoi cambiare.

Prima di andare via salutò tutti con questa frase: LA PARMIGIANA È SEMPRE PIU’ BUONA IL GIORNO DOPO.

Centro Astalli

La fortuna non è fantascienza

di Damia S.

Attraverso il deserto, tra le macerie, senza alberi o specchi d’acqua fin dove lo sguardo può permettersi di arrivare. Come punti di riferimento solo il sole e le dune onnipresenti, unici criteri per stabilire il cammino da prendere per non morire nel tentativo di scappare dalla propria patria, verso uno stato di cui non si conosce neanche il nome. Sembra la trama di un film post-apocalittico, ma non si tratta d’altro che del terrore quotidiano che attanaglia le viscere di chi è stato rinnegato dalla propria terra. Quasi un milione negli ultimi dieci anni sono attraccati in Italia via mare, tra questi Njagga Njie che a soli 22 anni è dovuto scappare dal Gambia, la sua madrepatria, per mantenere al sicuro la sua famiglia dopo aver rivelato qualcosa di “scomodo” per lo Stato. Njagga collaborava infatti con la Croce rossa e un’associazione francese con la quale faceva degli incontri con i ragazzi per parlare dell’importanza delle lingue e incoraggiarli ad imparare quella francese. 

Il problema nacque poco tempo dopo quando oltre agli incoraggiamenti, alla conoscenza di altri linguaggi, gli oratori cominciarono a rivelare informazioni riguardanti la situazione politica del paese. Tutto ciò non avrebbe causato alcun male se il Gambia fosse rimasto democratico come era in origine, ovvero fino al 1992 anno in cui la guardia del corpo del Presidente con un colpo di stato accentrò su di sé il potere. Il Presidente dell’associazione francese fu quindi arrestato e con lui molti altri; per evitare la stessa sorte, Njagga decide di lasciarsi tutto alle spalle e cerca di uscire dal Gambia per andare in Senegal. Sfortunatamente anche questo paese si trova in una situazione simile e i diritti umani sono ridotti ormai come il latino: una lingua conosciuta in tutto il mondo ma che nessuno sa più parlare. È proprio qui che lui sceglie la sua meta, una terra che non ha mai visto, di cui ha solo sentito parlare, uno stivale che, si dice, aiuti chi attracca logorato sulle sue coste. Una decisione dettata dalla necessità, dalla speranza di trovare un luogo in cui poter ricominciare a vivere senza la paura di addormentarsi ed essere derubato del proprio stesso corpo o di svegliarsi al sibilo delle bombe sempre più vicine. 

Una volta arrivati in Italia questa è la domanda che molti pongono a chi decide di ascoltarli: in che cosa sono simili il deserto e il mare? In entrambi il mondo diventa uguale e gli orizzonti si confondono prendendosi gioco nei nervi umani, basta mezzo metro nella direzione sbagliata per vagare in eterno con le labbra spaccate, fino a non avere più la forza di arrancare. Entrambi logorano la mente fino a far impazzire, mentre la speranza di arrivare si trasforma lentamente in disperazione. Inutile dire come molti uomini, donne e anche bambini sono morti solo per una strada sbagliata o dopo esser stati rapiti dai trafficanti di esseri umani, senza calcolare le guerre che tutt’ora ci sono in Libia, terra d’obbligo per arrivare in Italia dall’Africa. Qui c’è chi arriva senza gambe, chi malato, alcune donne rimaste incinte lungo il tragitto costrette a prostituirsi per guadagnare quegli spiccioli che gli servono per imbarcarsi sui gommoni che, teoricamente costruiti per 20 persone, ne trasportano almeno 60. In una situazione del genere non ci sono alleati, perfino i soldati abusano del proprio potere sul cittadino comune, tanto che superati i confini si è fortunati se si hanno ancora i vestiti addosso. 

Per arrivare in Italia, racconta Njagga, ci sono voluti tre mesi, e da quel momento è come se si fosse svegliato da un incubo. Il momento dell’arrivo sono come quei secondi di dormiveglia prima di svegliarsi completamente, si è disorientati, tesi, vestiti e scarpe vengono distribuiti a tutti mentre i medici si affrettano con gli occhi a cercare i malati più gravi. Pochi conoscono l’italiano e quindi il primo lavoro è sempre la ricerca di un mediatore che possa aiutare i volontari a calmare e tranquillizzare i rifugiati. Dopodiché si aspetta il trasferimento per l’integrazione dove viene insegnato l’italiano per aiutare i rifugiati a ricostruirsi una vita normale nel nuovo paese. Da lì si viene rispediti nella città, alla ricerca di un lavoro, in attesa dei documenti, aiutati in questa impresa da diverse organizzazioni, tra queste il centro Astalli (fautore, inoltre, di incontri di sensibilizzazione per i ragazzi), organizzazioni di mense e molte altre.

 “Se riesci a scappare non sei bravo, non sei intelligente, ma fortunato.” Allo stesso modo chi è morto non era cattivo, non era stupido, ma ha avuto solo sfortuna. È anche vero però che per risolvere il problema alla radice l’unico modo è istruire, mostrare ai ragazzi l’orrore che accade nel mondo affinché poi non sia solo la fortuna a determinare un futuro più o meno radioso.

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