di Angelica T.
Un tempo c’era una città dove adulti e bambini sognavano senza limiti e senza limiti era anche la loro fantasia che li portava a creare con la mente tutto ciò che volevano.
I bambini giocavano tra di loro rincorrendosi nei parchi, con il vento tra i capelli e gli adulti si incontravano in piazza per parlare un po’ e trascorrere insieme il tempo.
Ma negli ultimi tempi era cambiato tutto: in città erano arrivati strabilianti apparecchi tecnologici, come telefoni e tablet di ultima generazione, play station, televisioni con schermi giganteschi in cui era facile perdersi in una realtà parallela, e
molti altri pericolosi aggeggi di questo tipo. Gli adulti non facevano altro che trascorrere tutto il giorno a parlare con i colleghi di lavoro in lunghissime chiamate oppure a leggere pettegolezzi sui social, senza badare più ai propri figli. Questi, invece, stavano tutto il giorno attaccati allo schermo dei televisori, con joystick incollati alle mani, a giocare a videogiochi violenti, oppure con il telefonino a discutere per motivi banali, come su chi era vestito meglio o su chi aveva visto prima quel ragazzo o quella ragazza, o per altre sciocchezze simili. La cosa era ancora più triste e assurda perché le persone che si stavano scrivendo fra di loro spesso si trovavano una accanto all’altra.
Alla sera i loro occhi, per lo sforzo di stare l’intera giornata davanti ad uno schermo, erano così rossi che sembravano dei vampiri e, durante la notte, non c’era nemmeno un sogno che passasse per la mente di un bambino. La mattina, poi,
appena si svegliavano, correvano subito a giocare con i dispositivi elettronici.
Inoltre, se per un attimo i genitori si ricordavano dei figli e cercavano di sequestrare i telefoni o la play station, i bambini scoppiavano in un pianto assordante e iniziavano ad urlare come degli assatanati. Così gli adulti, se volevano sopravvivere e non rimanere storditi dalle urla dei figli, erano costretti a restituire loro gli oggetti maledetti.
Un giorno arrivò in città una famiglia povera che era scappata dalla guerra e che stava cercando una casa dove potersi stabilire finché quest’ultima non fosse terminata.
In quella famiglia c’era Anna, una bambina spensierata e molto bella: capelli lunghi e biondi, occhi azzurri come il mare e pelle bianca come la neve. Questa stupenda bambina ne aveva vissute di tutti i colori. Infatti, era dovuta
scappare dal suo paese che era in guerra, aveva lasciato le sue care amiche e ora le mancava la sua casa. Però, la bambina aveva una cosa che nessun altro possedeva, ovvero la capacità di saper sognare e di saper rifugiarsi ogni volta che voleva nel suo mondo fantastico, fatto da una parte di prati di caramelle, piscine di cioccolato e scivoli di caramello e, dall’altra, da una giungla abitata da animali soprannaturali come gattocorni, scimpagalli e rinoranghi.
Un giorno Anna uscì di casa per fare una passeggiata e per strada trovò solo qualche persona che discuteva al telefono e alcune automobili che passavano sfrecciando per strada, scompigliando i capelli della bambina.
Anna era scandalizzata dal modo in cui bambini e adulti vivevano la propria vita, passando tutto il tempo davanti allo schermo di un qualunque dispositivo elettronico; ma la cosa che più l’aveva sconvolta era che tutti gli abitanti della città,
nessuno escluso, avevano smesso di sognare. Capì allora che il suo compito sarebbe stato quello di far tornare tutti a chiudere anche solo per un attimo gli occhi e sognare.
La bambina continuava a passeggiare per le strade deserte della città, con la testa bassa pensando e ripensando agli abitanti che avevano smesso di sognare o di fantasticare, fino a quando non le passò per la mente l’unico modo in cui sarebbe riuscita ad aiutare i bambini e gli adulti della città.
Così corse a casa, cenò frettolosamente e andò a dormire. Il giorno seguente, la mattina presto, Anna uscì di casa con una piccola borsetta di lana che le aveva cucito la madre e si sedette sull’orlo di un marciapiede vuoto; successivamente tirò fuori dal sacchetto di lana alcuni dei suoi giochi e iniziò a giocare, facendo più rumore possibile.
Un bambino che era preso a giocare ad un videogioco di lotta si fermò di scatto per un momento: gli era sembrato di aver sentito qualcuno ridere e divertirsi, ma era impossibile dato che in quella città non rideva più nessuno da anni.
Così riprese a giocare, ma appena il suo sguardo si riposò sullo schermo della televisione, sentì un’altra risata e poi ancora un’altra. Così si affacciò alla finestra e non poteva credere ai suoi occhi.
Il bambino si alzò in piedi e, come un fulmine, corse fuori in strada.
Vide Anna giocare con i suoi giochi seduta sul marciapiede e, incuriosito e affascinato dallo sguardo divertito della bambina, perso in dei semplici giocattoli che non avevano nulla di speciale, si avvicinò e rimase a guardarla.
Dopo pochi minuti la strada era piena di bambini che osservavano Anna come se fosse un’extraterrestre e quest’ultima, che ovviamente si era accorta della folla che aveva attorno a sé, si alzò in piedi di scatto e rimase immobile ed in silenzio a pensare. Anna sapeva bene che non sarebbe stato facile coinvolgere i bambini per aiutarli a riacquisire la capacità di sognare visto che, a causa dei videogiochi, erano diventati molto diffidenti e quindi, se avesse detto la verità, nessuno l’avrebbe seguita per farsi aiutare; per questo motivo dovette inventare uno stratagemma che avrebbe
nuovamente attirato i bambini.
Così, sorridendo, disse a gran voce: “Ciao a tutti, io mi chiamo Anna e l’altro giorno ho viaggiato in un posto stupendo!”. Nessuno rispose e rimasero tutti a fissarla. Così Anna continuò a parlare: “Ho intenzione di tornarci oggi e ho pensato che magari sarebbe piaciuto anche a voi venire con me, perché nel posto che sono andata a visitare ci sono moltissime cose belle da fare, come giocare ai video games, guardare la televisione…e ho sentito anche dire che ci sono degli stupendi negozi dove vendono dispositivi elettronici di ultima generazione di tutti i tipi! Volete venire con me?”
I bambini si guardarono fra di loro e iniziarono a bisbigliare ognuno nell’orecchio del bambino che aveva accanto, fino a quando non si azzittirono tutti ed una di loro disse ad Anna: “Abbiamo deciso: vogliamo vedere questo posto! Ma come facciamo ad andare se nessuno ci può accompagnare?”
Anna era sicura che avrebbero accettato e rispose: “Tutto ciò che dovete fare è poggiare le vostre mani sopra le mie e seguirmi”. I bambini non capivano in che modo questa sarebbe riuscita a portarli in questo luogo semplicemente con il contatto delle mani; ma non fecero domande ed eseguirono ciò che la bambina aveva detto loro.
Quando un bambino posava la sua mano su quella di Anna chiudendo gli occhi, ogni volta non sentiva più la terra sotto i suoi piedi e provava una strana sensazione, come se improvvisamente fosse diventato leggero come una piuma tanto da riuscire a volare; e più passavano i secondi in cui il bambino teneva la mano su quella di Anna e più si percepiva un odore di caramelle, cioccolato e fiori di primavera. Alla fine, dopo che anche l’ultimo bambino era entrato in contatto con la mano della magica bambina, si trovarono tutti in un luogo meraviglioso e fatato; era un luogo favoloso con specie vegetali e animali di tutti i tipi: animali soprannaturali, piante rare e particolari, profumi di rose e tulipani, da una parte, e profumo di cioccolato e caramello dall’altra. Si trovavano tutti nel mondo dei sogni di Anna.
I bambini erano affascinati da tutto quello splendore ma non era il posto dove volevano andare e che aveva promesso loro Anna; ma non fecero nemmeno in tempo a girarsi verso la bambina per protestare, che subito si ricordarono dei loro
mondi fatati e di quanto era bello sognare e fantasticare prima che in città arrivasse la malefica tecnologia.
Tutti i bambini non sapevano come ringraziare Anna per aver fatto ritrovare loro la capacità di sognare, ma ora ogni bambino aveva il compito a sua volta di mostrare ai propri genitori i loro magnifici mondi dei sogni per far tornare anche questi a fantasticare.
Quando tutti i cittadini della piccola città impararono nuovamente a sognare, la città tornò allegra come sempre: gli adulti passeggiavano e chiacchieravano per i parchi. I bambini avevano tirato fuori dalle cassapanche e dai garage i giochi impolverati: si divertivano di nuovo con la corda, facevano fantastici giri in bicicletta e si rincorrevano per strada.
Tutti i dispositivi elettronici erano totalmente scomparsi.
Però, gli abitanti della piccola città dei sogni si erano scordati di una cosa, anzi di una persona: Anna.
Ma questo non fu un problema per Anna, la bambina povera ma sognatrice, che li aveva aiutati a fantasticare di nuovo; perché a lei bastava vedere la felicità e la gioia negli occhi di chi aveva aiutato.
Ad un certo punto Anna si sentì chiamare: “Anna? Anna? Anna! È tardi! Vieni o rimani lì impalata?” Anna si girò, prese il suo sacchetto di lana e velocemente entrò in macchina e, mentre si allontanava per tornare nel suo paese di nuovo in pace, guardò per un’ultima volta i bambini che giocavano nei prati, fino a quando non li vide scomparire dietro agli alberi e, sorridendo, si voltò nuovamente con la gioia nel cuore.